\paperw8895 \margr0\margl0 \plain \fs20 \f1 \fs24 Per quanto il Barbarossa disponesse dellÆappoggio, almeno per un certo tempo, della grande feudalitα tedesca; per quanto fosse s
ostenuto dai responsi dei giuristi bolognesi, che, in nome dellÆantico diritto imperiale di Roma, vedevano nellÆimperatore la suprema e assoluta autoritα, tuttavia il suo tentativo doveva fallire contro le forze che si esprimevano attraverso i comuni. LÆ
imperatore potΘ soltanto riportare successi contro alcuni comuni italiani, agevolato, oltre tutto, da alcuni di questi stessi che, nel timore di essere assorbiti dalle cittα pi∙ potenti, si erano schierati al suo fianco. Contro di lui si lev≥ la coalizio
ne di tutte le cittα minacciate nella loro autonomia, raccoltesi nella Lega veronese e nella Lega lombarda; e nel blocco intervennero il papa e i Normanni del regno di Sicilia, lÆuno e gli altri ugualmente minacciati nella loro indipendenza. Il Barbaross
a, sconfitto a Legnano (1176), era costretto a rinunciare alle sue pretese di assoluta supremazia (aveva imposto anche un antipapa, Vittore IV) sulla Chiesa e nella pace di Costanza (1183) doveva riconoscere, sostanzialmente, le autonomie cittadine: va c
omunque notato che lÆesito, e non solo ôformaleö, della pace di Costanza, in cui non di ôcomuniö si parlava, ma di ôcivitatesö, poichΘ con questo termine meglio si individuava una realtα politico-sociale che non un tipo di governo, potΘ prestarsi, e si p
rest≥, allÆequivoco. In linea di diritto, a considerare le clausole di quella pace, lÆImpero, in quanto espressione massima di statualitα, ne usciva rafforzato, poichΘ vedeva reintegrarsi nella sua unitα di referente della gestione del ôpublicumö le citt
α che a un certo momento avevano operato in proprio senza una definizione di questa ôpresunzioneö di governo. Ma dÆaltra parte, e anche in linea di diritto, le \i consuetudines\i0 che si erano praticate da parte delle cittα e che erano nella dimensione
degli interessi di gruppi associati, pur essendo da sempre di rilevanza pubblica, non solo ricevono un riconoscimento, ma ricevono quella precisa definizione anche politica che ad esse era mancata. E cos∞ lÆautonomia dellÆassociazione, fondamento princip
ale del fenomeno comunale, vede nel proprio riconoscimento anche quello dello \i ius proprium\i0 , che, senza opporsi in linea di principio alla \i lex\i0 imperiale, Φ allÆorigine, anche dottrinale e giuridica, di quella proposta politica polinucleata c
he alla lunga esautorerα lÆImpero. Il quale valeva ancora come suprema sanzione e massima integrazione di condizioni politico-giuridiche fondate sulle pattuizioni e sulle consuetudini, unica forma ipotizzabile di intervento del sovrano in via pacifica. M
a si vide anche dopo il Barbarossa che ogni inserimento in schemi ôfeudaliö della realtα politica comunale fin∞, per gli imperatori, con il configurarsi come occasione per interventi militari di elementare controllo.\par
LÆImpero, perci≥, non scomparve
dallÆItalia. Funzionari imperiali erano presenti in molti comuni, specialmente dellÆItalia centrale; molti vincoli sussistevano e si andarono anzi rafforzando tra lÆimperatore, alcune cittα e alcuni grandi signori del contado minacciati dallÆespansione c
omunale. La penetrazione nel Mezzogiorno che il Barbarossa non era riuscito a ottenere con la forza delle armi, si realizzava con il matrimonio con Costanza dÆAltavilla di suo figlio Enrico VI: questi, incoronato re dÆItalia, assumeva, alla morte del re
normanno Guglielmo II, anche la corona del regno normanno. Si creava con questa unione, sia pure personale, delle due corone, una situazione estremamente pericolosa per le cittα italiane e specialmente per la Chiesa e il suo stato patrimoniale, praticame
nte accerchiato dalla potenza sveva. Enrico VI aveva saputo spezzare con risolutezza lÆopposizione scoppiata in Sicilia tra la nobiltα normanna, che contro di lui aveva posto sul trono Tancredi, discendente di un figlio naturale di Ruggero II. I re norma
nni avevano portato a un notevole grado di efficienza amministrativa, economica e militare il loro stato, con lÆaccentramento del potere e un valido corpo di funzionari. Secondo gli stessi criteri, Enrico VI cerc≥ di governare anche il resto dellÆItalia
da lui dipendente, con una pi∙ sistematica risolutezza, rispetto a quanto era giα stato effettuato, in questa direzione, dal padre. La morte improvvisa del giovane imperatore svevo (1197) fece fallire, per il momento, la minaccia contro le autonomie loca
li e contro la stessa indipendenza del papato, che, dÆora innanzi, vorrα opporsi con ogni mezzo allÆunione delle due corone. Mentre la lotta dinastica in Germania offriva il pretesto al pontefice, Innocenzo III, di sostituirsi allÆImpero, dietro sua ispi
razione in Italia si stringevano leghe contro eventuali ritorni offensivi dellÆimpero stesso. Il pontefice disponeva di una gerarchia sottoposta al suo potere esclusivo e assoluto. Il regno di Sicilia, durante la minore etα di Federico di Svevia, figlio
di Enrico VI, passava sotto il dominio della Chiesa. E per≥ gli sviluppi imprevisti della IV crociata, organizzata con tanto fervido slancio dal papa, ma guidata, con obiettivi di potenza economica, da Venezia, mostravano il vero volto della situazione.
Federico II, pupillo di Innocenzo III, riguardato come lo strumento docile e malleabile da impiegare ai fini della Chiesa, sarα proprio il pi∙ energico e spregiudicato avversario; facendo del regno di Sicilia la solida base da cui muovere, egli concentr≥
le sue energie e i suoi sforzi in Italia, contro i comuni e contro la Chiesa alleatasi ai comuni.
